C'è M., una donna di 50 anni, che la malattia sta imprigionando lentamente e inesorabilmente nel suo corpo ma che combatte per una apparenza normale, rispondendo sempre "abbastanza bene" quando le si chiede come va.
C'è A., un ragazzo della mia età, che poco dopo essersi sposato -o prima, chissà? - ha scoperto di avere la sclerosi multipla e adesso si fa accompagnare sulla sedia a rotelle dalla moglie.
C'è quella ragazzina timida e impaurita con gli occhi grandi che spuntano dal velo avvolto intorno al viso: non parla, non mi guarda nemmeno, lascia fare al marito che mi chiede una crema per lei. Chissà come si fa ad avere 19 anni e vivere in un paese così diverso, senza una Sorella o un' amica con cui andare a comprare un rimedio per i brufoli.
C'è S., si muove lenta e imponente e chiede meccanicamente sempre le stesse pastiglie: un matrimonio finito male l'ha trasformata in una botte di calmanti.
C'è quell'altra ragazza che mi prega sempre di darle le gocce per l'ansia anche se la ricetta è scaduta e mi fa riflettere su cosa
possa averla trascinata in questo buco nero di sofferenza e apatia.
C'è un signore un po' strano che si porta sempre per mano sua mamma e viene a prendere i pannoloni per lei: la vita certe volte chiede il conto troppo presto.
C'è la signora B., che ha perso il marito e poi la figlia per un tumore. Adesso tocca a lei ma ci dice che non le interessa, tanto ormai è preparata.
Ogni giorno davanti a me si fermano occhi lucidi, mani nervose, schiene piegate, voci tremanti. Si fermano storie, parole che sperano di essere ascoltate, pesi che vengono alleggeriti giusto il tempo di prendere una medicina e andare via.
Ogni giorno davanti a me si fa ben chiaro il motivo per cui non mi arrabbio più per un pantalone sporcato, per delle briciole in terra, per 10 euro persi per strada, per una parola sgarbata in un momento di stanchezza.
Ogni giorno cerco di ricordarmi dell'immensa fortuna che ho.
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